Acufene: il suono dello stress

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Gabriella Castagnoli, Psicologa e Terapeuta espressiva certificata, di spiegarci quali sono i risvolti psicologici legati all’acufene.

Dalle sue considerazioni emerge l’importanza di un approccio multidisciplinare, psicologico e audiologico, per il trattamento di questo problema che affligge un numero sempre crescente di persone.

Dall’analisi della letteratura emerge che il vissuto stressogeno associato all’acufene è solo parzialmente spiegabile dagli aspetti psico acustici come l’intensità del tinnitus o la sua durata. Gli studi suggeriscono che la percezione dell’acufene e il livello di stress psico-fisico siano fortemente influenzati dal rapporto che il paziente ha con l’acufene, i pensieri disfunzionali e le emozioni negative emerse da una condizione di cronicità. Ciò significa che tanto più il paziente considera l’acufene un handicap nello svolgimento delle attività quotidiane e qualcosa di cui ci si deve liberare prima possibile, tanto più il sintomo sarà percepito con intensità e associato a sintomi di disagio psico-fisico (come insonnia, ansia, depressione, apatia, abulia, difficoltà di concentrazione, ecc). Dunque possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’acufene sia modulato dallo stress. Tuttavia, ci sono pochi dati empirici per supportare il legame tra stress e tinnito.

Specificatamente in questa fase di post covid e parziale ripresa dei contagi sembra di particolare importanza l’attenzione agli aspetti psico emotivi oltre che fisiologici legati da questo disturbo.

Riteniamo di importanza centrale alla miglior riuscita dell’intervento la presa in carico degli aspetti psicoeducativi e di trattamento dell’acufene in un approccio multidisciplinare e integrato  che vede le  tecniche psicologiche in sinergia con tecniche di audiologia e audioprotesi.

Il trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene

Un aspetto importante  del trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene è l’attivazione di un processo di  abituazione, cioè un processo di apprendimento caratterizzato da una progressiva riduzione dell’attenzione dall’acufene.

I circuiti implicati nel mantenimento dell’acufene sono gli stessi che mediano la percezione del sentire in tutti noi, ciò che cambia nei soggetti con sindrome da tinnitus è come funzionano. Secondo il modello neurofisiologico di Jastreboff e Hazell (1993) nell’acufene soggettivo si verifica un difetto di codifica: il filtro attentivo è come se si fosse fissato su quel suono a cui il sistema emozionale continua a dare estrema importanza.

Questo spiegherebbe il circolo vizioso che si crea tra il suono percepito, le emozioni negative ad esso associate (irritazione, rabbia, tristezza, paura) e l’attenzione volontaria costantemente rivolta all’acufene.

Secondo gli autori sfruttando il meccanismo della plasticità neuronale è possibile rompere questa catena disfunzionale allenando il nostro cervello a imparare nuove e virtuose strade che connettono il suono dell’acufene e le reazioni emotive.

Creare un circolo virtuoso tra acufene ed emozioni necessita un lavoro sull’accettazione del sintomo e sulle emozioni di ansia e depressione che si associano ad esso.

Per accettazione s’intende il ricevere, sentire e in questo contesto ci riferiamo all’accoglimento non giudicante di ciò che si vive (sensazioni fisiche, pensieri, emozioni). Non deve essere confuso con passività, rassegnazione o pensiero positivo.

L’accettazione qui intesa consiste in un processo attivo di apertura ad un’esperienza, compresi i suoi aspetti che non possiamo controllare. Solamente accogliendoli, guardandoli, possiamo vedere l’esperienza nella sua totalità, identificando al contempo quegli aspetti su cui possiamo agire.

L’approccio multidisciplinare volto alla gestione dell’acufene può comprendere:

  • Incontri psicoeducativi di gruppo volti a informare su acufene e presentazione dell’approccio multidisciplinare integrato (tecnico audio, psicologico);
  • Supporto psicologico individuale per fornire informazioni e consigli sul problema. Si sostiene  la persona nell’abituarsi alla percezione del  suono fantasma  e a far fronte alle sue potenziali conseguenze come disagio emotivo, difficoltà del sonno, , diminuzione di concentrazione. Occorre aiutare le persone a comprendere e conoscere da vicino il loro acufene , correggere false credenze  e porsi obiettivi realistici ;
  • Consulenza e supporto psicologico ai familiari e conviventi delle persone che soffrono di acufene;
  • Terapia del suono con piccoli generatori sonori che riproducono  suoni come onde del mare. pioggia, ecc utili a rilassarsi e ridurre la percezione del suono fantasma:
  • Tecniche di rilassamento , respirazione e visualizzazione  mediante dalla mindfullness;
  • Ristrutturazione cognitiva individuale con l’obiettivo di ridurre la sensazione di avere un handicap. Ristrutturazione di credenze , pensieri ed emozioni  associati all’acufene che procurano sofferenza.. Facilitare l’idea che il disturbo non valga tutta l’attenzione che gli si dedica e che vada accettato.

Dott.ssa Gabriella Castagnoli

Esistono diverse tipologie di acufene e ci sono diversi modi per trattare questo disturbo.

Il nostro approccio multidisciplinare permette di associare il Metodo Tomatis® ad altri percorsi su misura: chiamaci allo 051 4859072 per una consulenza gratuita.

Quali sono le cause dello stress?

Lo stress è una risposta psicofisica che l’organismo mette in atto in risposta a compiti che sono valutati dall’individuo come eccessivi: questo significa che un evento stressante per qualcuno potrebbe non esserlo per altri e che uno stesso evento in fasi di vita diverse può risultare più o meno stressante. È tuttavia utile individuare alcuni fattori che risultano tipicamente stressanti per la maggior parte delle persone. Molti dei grandi eventi della vita possono risultare stressanti, sia eventi piacevoli come il matrimonio, la nascita di un figlio o un nuovo lavoro, sia quelli spiacevoli come la morte di una persona cara, una separazione o il pensionamento. Accanto a questi eventi possiamo identificare come fonti frequenti di stress alcuni fattori fisici: il freddo o il caldo intensi, l’abuso di alcol o il fumo, ma anche serie limitazioni nei movimenti. Esistono inoltre fattori ambientali che ci espongono al rischio di stress, pensiamo ad esempio alla mancanza di un’abitazione, agli ambienti molto rumorosi, a livelli di inquinamento elevati. Ricordiamo, infine, le malattie organiche e gli eventi straordinari quali i cataclismi.

I sintomi dello stress

Ci capita spesso di dire che siamo ‘stressati’ ma non tutti i sintomi sono facili da individuare e possiamo sottovalutare il problema. Pur essendo difficile fornire un elenco esaustivo di tutti i sintomi dello stress, è utile individuare i più frequenti. Si individuano quattro categorie di sintomi da stress:
sintomi fisici: mal di testa, mal di schiena, indigestione, tensione nel collo e nelle spalle, dolore allo stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, extrasistole, agitazione, problemi di sonno, stanchezza, capogiri, perdita di appetito, problemi sessuali, fischi alle orecchie;
sintomi comportamentali: digrignare i denti, alimentazione compulsiva, più frequente assunzione di alcolici, atteggiamento critico verso gli altri, comportamenti prepotenti, difficoltà a portare a termine i compiti;
sintomi emozionali: tensione, rabbia, nervosismo, ansia, pianto frequente, infelicità, senso di impotenza, predisposizione ad agitarsi o sentirsi sconvolti;
sintomi cognitivi: difficoltà a pensare in maniera chiara, problemi nella presa di decisione, distrazione, preoccupazione costante, perdita del senso dell’umorismo, mancanza di creatività.

Stress: un po’ di storia

Un punto di partenza nella ricerca sullo stress in ambito medico può essere individuato nei lavori di Hans Selye, un medico austriaco che, dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso, iniziò a lavorare su questo tema presso l’Università di Montreal. Come riporta lo stesso Selye (1976) fu un esperimento condotto su alcuni topi alla ricerca di un nuovo ormone a indicare un’interessante linea di indagine. Indipendentemente dalla sostanza tossica iniettata, i topi mostravano tutti la stessa reazione: ispessimento della corteccia surrenale, riduzione del timo e ulcere sanguinanti nello stomaco e nell’intestino.

Selye conosceva i lavori del fisiologo Walter Cannon, che dagli anni Venti aveva lavorato sul concetto di omeostasi e sulla risposta d’allarme presso l’Università di Harvard. Dinnanzi ad un pericolo l’organismo ha una reazione di allarme che ha la funzione di preparare il soggetto ad una rapida azione offensiva o difensiva, fondamentale per la sopravvivenza. Cannon (1929) studiò e descrisse quella che è nota con il nome di flight or fight reaction: uno stato di sovraeccitazione innescato dall’attivazione del sistema nervoso autonomo in seguito alla rilevazione di un pericolo nell’ambiente esterno. Questa reazione di allarme è comune a uomini e animali e ha un forte valore evolutivo, poiché permette al soggetto di attivare una serie di risorse che possono risultare vitali in situazioni di pericolo.

Selye aveva studiato questo testo, ma riteneva che la fase di allarme non fosse sufficiente per rendere conto di un processo in realtà più articolato. Studiando i suoi topi in laboratorio il medico descrisse un ciclo che è noto come ‘sindrome generale di adattamento’ (Selye, 1974). La prima risposta ad un evento esterno stressante (che chiamò stressor) costituisce quella che propriamente si indica come ‘reazione di allarme’. Se lo stressor non è sufficientemente potente da risultare incompatibile con la sopravvivenza dell’organismo, ma al tempo stesso è prolungato, si innesca una seconda fase che si definisce di ‘resistenza’ e che, a livello di attivazione dell’organismo, coincide con risposte diverse e per alcuni versi opposte rispetto alla reazione di allarme. Tuttavia questa fase non può essere protratta a lungo: se lo stressor continua ad essere presente in modo intenso, si innesca la fase di esaurimento – le risorse a disposizione dell’organismo sono limitate e ad un certo punto si esauriscono (Selye, 1976).

La sindrome generale di adattamento negli esseri umani è un fenomeno di gran lunga più complesso di quello osservabile negli animali. Se nel regno animale la reazione di allarme è innescata dalla presenza di un predatore o da qualche minaccia concreta per la vita o per lo status nel gruppo del singolo, gli uomini tendono a reagire in questo modo anche se nessun pericolo reale è presente. Tra gli esseri umani, lo stress rappresenta una questione importante, che non si esaurisce in una reazione naturale ad un pericolo concreto: soprattutto nelle società occidentali moderne, questo utile strumento può diventare un modo di vivere dannoso, portando con sé difficoltà non indifferenti.

Che cos’è lo stress?

Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi. Fu Selye il primo a parlare di stress, definendolo come una

risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso (Selye, 1976).

In base alla durata dell’evento stressante è possibile distinguere due categorie di stress: se lo stimolo si verifica una volta sola e ha una durata limitata si parla di ‘stress acuto’, se invece la fonte di stress permane nel tempo si utilizza l’espressione ‘stress cronico’. Lo stress cronico propriamente detto dura a lungo, investe diverse sfere di vita e costituisce un ostacolo al perseguimento degli obiettivi personali. Si definisce, infine, ‘stress cronico intermittente’ un quadro di attivazione da stress che si presenta ad intervalli regolari, con una durata limitata e un buon livello di prevedibilità. Accanto alla distinzione sulla base della durata è possibile individuare due categorie sulla base della natura degli eventi stressanti. In molti casi gli stressor sono nocivi e possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie – si parla quindi di distress. In altri casi, invece, gli stressor sono benefici, poiché favoriscono una maggior vitalità dell’organismo – si utilizza in questo caso l’espressione eustress.

Stress e Salute: l’importanza di un approccio integrato

Le evidenze scientifiche fanno riflettere sull’importanza di un approccio integrato nella prevenzione e  nel trattamento delle patologie stress correlate.
Le numerose evidenze scientifiche  fanno riflettere sull’importanza di adottare un approccio integrato nella prevenzione e nel trattamento delle patologie correlate allo stress, che miri al rilevamento degli indici non solo fisici, ma anche comportamentali e psicologici  potenzialmente responsabili dell’alterazione delle condizioni di salute.

Le evidenze scientifiche dimostrano l’impatto dello stress sull’alterazione delle condizioni di salute e l’importanza di un approccio integrato (Gaston et al., 1987; King et al., 1991; Chiu et al., 2003; Rosenkranz et al., 2003; Ross, 2005; Levy et al., 2006; Drossman, 2011).

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un incremento delle cause di stress e appare chiaro quanto ognuno di noi possa essere esposto ai danni fisici e psicologici che da esso derivano.

Lo stress è sempre più diffuso, tanto da essere considerato la nuova patologia del secolo.

Per stress s’intende La risposta non specifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata ad esso e proveniente dall’ambiente”. Dalle parole di Hans Selye (1956), considerato il padre del concetto di stress, si intuisce che di per sé lo stress non ha una connotazione negativa.

Esiste una forma positiva, detta “eustress”, che allena la capacità di adattamento individuale e permette il raggiungimento di obiettivi specifici. I problemi insorgono quando l’organismo entra in una condizione di “distress”, nel momento in cui le richieste dell’ambiente superano le risorse a disposizione. Se questa situazione si protrae nel tempo, l’organismo può produrre forme di risposta patologiche e difficilmente reversibili.

Secondo l’ AISIC (Associazione Italiana contro lo Stress e l’Invecchiamento Cellulare) il 70% delle morti in Italia sarebbe causata da malattie cardiovascolari, cirrosi epatiche, tumori, broncopatie cronico-ostruttive, malattie intestinali, tutte patologie legate allo stress o a comportamenti disfunzionali dovuti alla condizione di stress.

Questi dati fanno riflettere su quanto siano onerosi i costi individuali che ciascun individuo deve sostenere in termini di visite specialistiche, farmaci, giorni lavorativi persi, e danno l’idea della complessità e della gravità del fenomeno.

Negli ultimi anni stiamo assistendo all’aumento di patologie la cui origine pare essere un disturbo del funzionamento dei sistemi interni di autoregolazione, che provoca alterazioni in tutto l’organismo. L’ipotesi è che lo stress prolungato rappresenti il motore di questo circuito a cascata. Studi longitudinali hanno indagato il ruolo dello stress sul decorso delle malattie cutanee, in particolare due studi condotti su piccolo gruppi suggeriscono una correlazione tra il livello dello stress percepito e l’andamento clinico della psoriasi (Gaston et al., 1987) e della dermatite atopica (King et al., 1991), mentre uno studio condotto su studenti universitari ha evidenziato una correlazione stress e l’andamento clinico dell’acne (Chiu et al., 2003).

Alcuni studi mettono in relazione i disturbi funzionali digestivi con esperienze stressanti precoci vissute durante l’infanzia, ad esempio la morte di un genitore, l’abuso sessuale o la presenza di una relazione disfunzionale con il caregiver: tra pazienti con tali disturbi coloro che riferiscono storie di abuso fisico e psicologico risultano maggiori rispetto ai pazienti con disturbi gastroenterologici organici senza la presenza di tali esperienze traumatiche (Drossman, 2011; Ross, 2005).

In particolare, sembra che nei pazienti con sindrome da intestino irritabile la percentuale di anamnesi positiva per abuso sessuale  raggiunga una percentuale che varia dal 30 al 56 % (Levy et al., 2006). Tuttavia, i dati non sono ancora stati confermati e necessitano di ulteriori approfondimenti.

Le malattie cardiovascolari sembrano legate a fattori psicosociali che possono influenzare il verificarsi di un’aterosclerosi o di un evento cardiaco. In particolare, le Linee Guida europee sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari (Fourth Joint of the European Society of Cardiology, 2007)  fanno riferimento al livello socio-economico basso, presenza di stress lavorativo e familiare, mancanza di supporto sociale, tendenza all’ostilità.

Infine, per quanto riguarda il sistema immunitario, uno studio condotto nell’Università del Wisconsin ha dimostrato che uno stato psicologico negativo è correlato a una peggiore risposta al vaccino antinfluenzale (Rosenkranz et al., 2003), evidenziando come l’iperattivazione delle cortecce prefrontali determini l’attivazione dell’asse dello stress, con sovrapproduzione di cortisolo e conseguente inibizione della risposta immunitaria.

Le numerose evidenze scientifiche  fanno riflettere sull’importanza di adottare un approccio integrato nella prevenzione e nel trattamento delle patologie correlate allo stress, che miri al rilevamento degli indici non solo fisici, ma anche comportamentali e psicologici  potenzialmente responsabili dell’alterazione delle condizioni di salute.

                                                                            (State of mind – R.Piron)

Le nuove frontiere della scuola : siamo pronti a rientrare?

Martedì 15 settembre alle ore 20.30

iniziativa sulla scuola “Le nuove frontiere della scuola “

presso l‘Associazione Primola – Imola

Dialogheranno la Prof.ssa Di Ciaula Maria e la Consigliere Regionale Marchetti Francesca e la coordinatrice didattico pedagogica del doposcuola di Primola Dott.ssa Castagnoli Gabriella.

Saranno presentati tutti i protocolli Nazionali e Regionali inerenti il covid-19 che saranno attuati nelle scuole e nel doposcuola di Primola.

DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS (DPTS): di che si tratta?

Il DPTS (Disturbo Post traumatico da Stress) può colpire  le persone che hanno vissuto un evento traumatico che abbia implicato gravi lesioni, minacce di morte, perdita dell’integrità fisica propria, dei propri cari o altrui.

Molto dipende come l’evento è percepito dalla persona.

Possibili  fattori di rischio  sembrano essere una storia personale o familiare di depressione, ansia, nevrosi, insonnia o separazioni precoci.

Oltre ad eventi quali violenze di varia natura, possono essere vissuti come traumi eventi che possono sembrare in apparenza  parte del normale succedersi della vita quotidiana.  Va da sè che l’essere stati vittime di catastrofi naturali , aver subito lesioni o aver assistito a incidenti , per non parlare di guerre o combattimenti, porta nelle vite delle persone un evento fuori dall’usuale che  crea sofferenza , anche grave, e difficoltà di elaborazione.

In questo periodo di esposizione collettiva al Coronavirus e alla comunicazione ad esso relativa  le probabilità di incorrere in vissuti traumatici aumenta.  Una maggiore vulnerabilità psicoemotiva può essere un fattore di rischio .

Le persone  contagiate da Covid19 , chi ha dovuto subire l’isolamento e chi ha perso propri cari  senza poter dare l’ultimo saluto ha un maggior rischio traumatico. Una categoria particolarmente esposta è il personale che a vario titolo( medici, infermieri, ooss ,ecc. )  in questo periodo  si è occupato delle persone che hanno contratto il Covid19 e che ha vissuto un forte stress. Le condizioni fisiche ed emotive di lavoro in cui hanno operato queste persone lo abiamo potuto vedere attraverso i  media. 

Possiamo ipotizzare che  le conseguenze  sul sistema psichico- nervoso emozionale e immunologico saranno di portata ragguardevole. 

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