Mnemotecniche: i loci di Cicerone

Codificato da Cicerone, che con questo metodo riusciva a memorizzare molte informazioni nuove, collegando ognuna di esse a un luogo o un elemento di un percorso perfettamente noto.
Pensate, ad esempio, al percorso che fate ogni giorno per andare da casa in ufficio o a scuola .
Scoprirete con quale facilità sia possibile visualizzare in ordine tantissimi loci abituali. La tecnica consiste nell’associare le cose da ricordare a questi luoghi, per poter richiamare in perfetto ordine l’intera sequenza di informazioni.

Mnemotecniche: Le“stanze” di Simonide

Consiste nel visualizzare una stanza con tutti gli oggetti e i mobili che la compongono: ogni oggetto e ogni mobile corrispondono a un’immagine cui associare le cose da ricordare. Ogni volta che avete bisogno di richiamare tali cose, sarà sufficiente guardare l’oggetto o il mobile con l’“occhio della mente”, e automaticamente scaturiranno le informazioni che avete associato.

Facciamo un esempio.

Pensate a una stanza di casa vostra. Partendo dalla porta e procedendo in ordine, visualizzate dieci oggetti o mobili: lo stereo, una libreria, il televisore e così via.
Supponiamo ora che dobbiate ricordare di comprare dei fiori, di telefonare a un amico e di prelevare al bancomat.
In primo luogo, basterà immaginare che mentre inserite un cd nello stereo, dallo stesso escano fiori di colori diversi, con un delizioso profumo che pervade l’intera stanza. Poi, potete immaginare che tutte le pagine dei libri si trasformino in tessere del bancomat e dai libri stessi cadano fragorose cascate di monetine e banconote. Infine, l’immagine che compare in tv è quella del vostro amico che, con un grosso telefono sulla testa e a un volume così alto da rompere lo schermo, vi urla di chiamarlo subito.

Le mnemotecniche: in che modo migliorano la memoria

Le mnemotecniche sono delle strategie mentali che favoriscono la memorizzazione di nomi, numeri, azioni da compiere e singole informazioni.

Tutte le volte in cui facciamo qualcosa di deliberato per irrobustire il ricordo mettiamo in atto delle strategie di memoria: facciamo un uso strategico della memoria compiendo operazioni attive intelligenti. Le mnemotecniche sono tecniche di memoria volte alla memorizzazione e che facilitano l’immagazzinamento e recupero di informazioni.

Le mnemotecniche: i metodi per migliorare il ricordo

Esistono numerosi modi in cui può essere elaborato il materiale che voglio ricordare, ma è poco probabile che la semplice intenzione di ricordare ci sia di aiuto, poiché l’uso passivo, meccanico e ripetitivo della memoria, senza sfruttarne la potenzialità strategica, favorisce poco l’elaborazione efficace del materiale da ricordare.
Specifici compiti di memoria possono essere risolti usando strategie interne (mnemotecniche) o strategie esterne (prendere appunti, usare sveglie e il famoso nodo al fazzoletto).

In base al tipo e alla quantità di informazione da memorizzare è possibile categorizzare i differenti metodi in tre gruppi:
1) metodi che migliorano il ricordo di singoli item: il metodo dei loci, la creazione di immagini mentali, il metodo dei link, il peg-system, la categorizzazione e prendere appunti;
2) metodi che migliorano il ricordo dei nomi: la tecnica facce-nomi;
3) metodi che migliorano il ricordo dei numeri: il sistema numero-consonante.

Messaggio pubblicitario1) Metodi per migliorare il ricordo di singole informazioni

METODO DEI LOCI. È una delle tecniche più conosciute e più antiche, in passato veniva utilizzata per ricordare i discorsi (Yates, 1966), ma è anche impiegata per memorizzare singoli item in sequenza come la lista della spesa o le azioni da compiere durante il giorno (Lorayne e Lucas, 1974). Si procede con la creazione di una sequenza di luoghi (loci), meglio se ben conosciuti (come ad esempio tutti i luoghi che incontro nel tragitto da casa al lavoro). Questa sequenza è fondamentale e, perché la strategia sia utile, deve essere appresa perfettamente, automatizzata. Nella fase di codifica del materiale il primo item da ricordare deve essere associato al primo luogo della lista, il secondo item al secondo luogo e così via. Quando dovrò richiamare il materiale dovrò ripercorrere mentalmente la sequenza di luoghi partendo dal primo, che costituisce il cue (l’aggancio) e che favorirà il ricordo del primo item, e procedendo nello stesso modo fino all’ultimo luogo per ricordare l’ultimo item.

CREAZIONE DI IMMAGINI MENTALI. È un’abilità di codifica di base che richiede meno risorse cognitive rispetto alla tecnica dei loci. Consiste nella formazione di scenari mentali molto vividi per consentire il ricordo dell’informazione.

METODO DEI LINK. Come la tecnica precedente, anche questa richiedere meno dispendio cognitivo e consiste nell’associare ogni item della lista a quello precedente. Questa strategia, insieme a quella delle immagini, può anche essere utilizzata per formare immagini interattive di più item invece di immaginarne uno alla volta (Stigsdotter Neely e Bäckman, 1993b).

PEG-SYSTEM. È simile al metodo dei loci e prevede la memorizzazione di dieci parole di riferimento in rima con i numeri da 1 a 10 (ad esempio 1-pruno, 7-vette o 10-ceci). Ogni item viene associato attraverso immagini interattive a ciascuna parola di riferimento, che costituisce il peg (l’aggancio) per l’item: se ad esempio il primo item da ricordare è “sciarpa” si può immaginare una sciarpa su un pruno e così via. Per ricordare gli item procederò in ordine da 1 a 10 e attraverso il peg recupererò le immagini elaborate.

CATEGORIZZAZIONE. È il metodo più usato nella vita quotidiana e prevede il raggruppamento in categorie specifiche degli item da ricordare. Richiede l’abilità di ristrutturare e classificare gli stimoli in base ai loro elementi caratteristici, costruendo categorie in cui inserirli.

PRENDERE APPUNTI. Probabilmente è la strategia quotidiana più usata ed è il mezzo più ovvio per ricordare singole informazioni, ma non per questo meno efficace. Tecniche interne, come il metodo dei loci, e tecniche esterne, come prendere appunti, sono complementari. In alcune circostanze il prendere nota è preferibile rispetto a metodi interni, ma in altre occasioni è vero il contrario (Intons-Peterson e Fournier, 1986).

2) Metodi per migliorare il ricordo di nomi

I nomi sono elementi difficili da ricordare, in particolare se hanno una natura astratta. Vengono usate molte tecniche per migliorare il ricordo dei nomi (Higbee, 1988), ne esistono di più complesse, come ad esempio quelle che si basano sulla trasformazione delle immagini, e di più semplici. Tra quelle complesse rientrano le mnemotecniche facce-nomi usata da Yesavage (1983), composta da tre fasi:
a) scegliere una caratteristica rilevante del volto;
b) mettere in atto una concreta trasformazione in immagine del nome della persona;
c) formare un’immagine visiva interattiva collegando la trasformazione del nome alla caratteristica facciale prominente.

È un metodo che richiede un notevole dispendio cognitivo, ma esistono anche dei modi per semplificarlo senza comprometterne l’efficacia, come ad esempio usare solo la fase b), privilegiando quindi l’elaborazione del nome e la sua trasformazione in una rappresentazione visiva.

Sempre per diminuire la richiesta di risorse cognitive, si usano sia strategie che elaborano i nomi da ricordare associandoli a conoscenze pregresse, come ad esempio pensare a qualcuno di conosciuto con lo stesso nome, sia la tecnica “spaced retrieval”: si ripete il nome da ricordare aumentando di volta in volta l’intervallo tra una ripetizione e l’altra.

Messaggio pubblicitario3) Metodi per migliorare il ricordo di numeri

Una mnemotecnica tra le più conosciute per ricordare i numeri è il sistema numero-consonante (Higbee, 1988), simile al metodo dei loci. È composto da quattro fasi:
a) memorizzare una serie di coppie cifra-consonante (ad esempio 1=T o D; 5=L; 9=P o B) fino a che non sia super-appresa e automatica;
b) trasformare la stringa di numeri da ricordare in una sequenza di consonanti alla quale unire vocali per formare una parola;
c) memorizzare la parola formata;
d) trasformare la parola nella stringa originale di numeri.

Strategie come questa possono essere utili per codici che non vengono usati ogni giorno, perché quando l’uso è quotidiano il codice viene super-appreso e automatizzato rendendo superflua la necessità di un’elaborazione complessa.

Una delle critiche più frequenti rivolta all’uso delle mnemotecniche più complesse (come il metodo dei loci o quello facce-nomi) si centra sulla difficoltà di applicazione in situazioni quotidiane perché molto articolate, tanto da risultare a volte anche inappropriate; ma è anche vero che l’uso sistematico di queste strategie consente di ottenere in breve tempo miglioramenti nelle performance di memoria.

Bibliografia

  • Higbee, K. L. (1988). Your memory: how it works and how to improve it. New York: Paragon House.
  • Hill, R. D., Bäckman, L. e Stigsdotter Neely, A. (2000), Cognitive Rehabilitation in Old Age. Oxford: Oxford University Press.
  • Intons-Peterson, M. J. e Fournier, J. (1986). External and internal memory aids: when and how often do we use them? Journal of Experimental Psychology: General, 115, 267-280.
  • Lorayne, E. E. e Lucas, J. (1974). The memory book. New York: Stein & Day.
  • Stigsdotter Neely, A. e Bäckam, L. (1993b). Maintenance of gains following multifactorial and unifactorial memory training in late adulthood. Educational Gerontology, 19, 105-117.
  • Yates, F. A. (1966). The art of memory. London: Routledge.
  • Yesavage, J. A. (1983). Imagery pretraining and memory training in the elderly. Gerontology, 29, 271-275.
    Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2017/04/mnemotecniche-migliorano-memoria/  (Francesca Soresi)

Acufene: il suono dello stress

Abbiamo chiesto alla Dott.ssa Gabriella Castagnoli, Psicologa e Terapeuta espressiva certificata, di spiegarci quali sono i risvolti psicologici legati all’acufene.

Dalle sue considerazioni emerge l’importanza di un approccio multidisciplinare, psicologico e audiologico, per il trattamento di questo problema che affligge un numero sempre crescente di persone.

Dall’analisi della letteratura emerge che il vissuto stressogeno associato all’acufene è solo parzialmente spiegabile dagli aspetti psico acustici come l’intensità del tinnitus o la sua durata. Gli studi suggeriscono che la percezione dell’acufene e il livello di stress psico-fisico siano fortemente influenzati dal rapporto che il paziente ha con l’acufene, i pensieri disfunzionali e le emozioni negative emerse da una condizione di cronicità. Ciò significa che tanto più il paziente considera l’acufene un handicap nello svolgimento delle attività quotidiane e qualcosa di cui ci si deve liberare prima possibile, tanto più il sintomo sarà percepito con intensità e associato a sintomi di disagio psico-fisico (come insonnia, ansia, depressione, apatia, abulia, difficoltà di concentrazione, ecc). Dunque possiamo ragionevolmente ipotizzare che l’acufene sia modulato dallo stress. Tuttavia, ci sono pochi dati empirici per supportare il legame tra stress e tinnito.

Specificatamente in questa fase di post covid e parziale ripresa dei contagi sembra di particolare importanza l’attenzione agli aspetti psico emotivi oltre che fisiologici legati da questo disturbo.

Riteniamo di importanza centrale alla miglior riuscita dell’intervento la presa in carico degli aspetti psicoeducativi e di trattamento dell’acufene in un approccio multidisciplinare e integrato  che vede le  tecniche psicologiche in sinergia con tecniche di audiologia e audioprotesi.

Il trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene

Un aspetto importante  del trattamento degli aspetti psicologici legati all’acufene è l’attivazione di un processo di  abituazione, cioè un processo di apprendimento caratterizzato da una progressiva riduzione dell’attenzione dall’acufene.

I circuiti implicati nel mantenimento dell’acufene sono gli stessi che mediano la percezione del sentire in tutti noi, ciò che cambia nei soggetti con sindrome da tinnitus è come funzionano. Secondo il modello neurofisiologico di Jastreboff e Hazell (1993) nell’acufene soggettivo si verifica un difetto di codifica: il filtro attentivo è come se si fosse fissato su quel suono a cui il sistema emozionale continua a dare estrema importanza.

Questo spiegherebbe il circolo vizioso che si crea tra il suono percepito, le emozioni negative ad esso associate (irritazione, rabbia, tristezza, paura) e l’attenzione volontaria costantemente rivolta all’acufene.

Secondo gli autori sfruttando il meccanismo della plasticità neuronale è possibile rompere questa catena disfunzionale allenando il nostro cervello a imparare nuove e virtuose strade che connettono il suono dell’acufene e le reazioni emotive.

Creare un circolo virtuoso tra acufene ed emozioni necessita un lavoro sull’accettazione del sintomo e sulle emozioni di ansia e depressione che si associano ad esso.

Per accettazione s’intende il ricevere, sentire e in questo contesto ci riferiamo all’accoglimento non giudicante di ciò che si vive (sensazioni fisiche, pensieri, emozioni). Non deve essere confuso con passività, rassegnazione o pensiero positivo.

L’accettazione qui intesa consiste in un processo attivo di apertura ad un’esperienza, compresi i suoi aspetti che non possiamo controllare. Solamente accogliendoli, guardandoli, possiamo vedere l’esperienza nella sua totalità, identificando al contempo quegli aspetti su cui possiamo agire.

L’approccio multidisciplinare volto alla gestione dell’acufene può comprendere:

  • Incontri psicoeducativi di gruppo volti a informare su acufene e presentazione dell’approccio multidisciplinare integrato (tecnico audio, psicologico);
  • Supporto psicologico individuale per fornire informazioni e consigli sul problema. Si sostiene  la persona nell’abituarsi alla percezione del  suono fantasma  e a far fronte alle sue potenziali conseguenze come disagio emotivo, difficoltà del sonno, , diminuzione di concentrazione. Occorre aiutare le persone a comprendere e conoscere da vicino il loro acufene , correggere false credenze  e porsi obiettivi realistici ;
  • Consulenza e supporto psicologico ai familiari e conviventi delle persone che soffrono di acufene;
  • Terapia del suono con piccoli generatori sonori che riproducono  suoni come onde del mare. pioggia, ecc utili a rilassarsi e ridurre la percezione del suono fantasma:
  • Tecniche di rilassamento , respirazione e visualizzazione  mediante dalla mindfullness;
  • Ristrutturazione cognitiva individuale con l’obiettivo di ridurre la sensazione di avere un handicap. Ristrutturazione di credenze , pensieri ed emozioni  associati all’acufene che procurano sofferenza.. Facilitare l’idea che il disturbo non valga tutta l’attenzione che gli si dedica e che vada accettato.

Dott.ssa Gabriella Castagnoli

Esistono diverse tipologie di acufene e ci sono diversi modi per trattare questo disturbo.

Il nostro approccio multidisciplinare permette di associare il Metodo Tomatis® ad altri percorsi su misura: chiamaci allo 051 4859072 per una consulenza gratuita.

Quali sono le cause dello stress?

Lo stress è una risposta psicofisica che l’organismo mette in atto in risposta a compiti che sono valutati dall’individuo come eccessivi: questo significa che un evento stressante per qualcuno potrebbe non esserlo per altri e che uno stesso evento in fasi di vita diverse può risultare più o meno stressante. È tuttavia utile individuare alcuni fattori che risultano tipicamente stressanti per la maggior parte delle persone. Molti dei grandi eventi della vita possono risultare stressanti, sia eventi piacevoli come il matrimonio, la nascita di un figlio o un nuovo lavoro, sia quelli spiacevoli come la morte di una persona cara, una separazione o il pensionamento. Accanto a questi eventi possiamo identificare come fonti frequenti di stress alcuni fattori fisici: il freddo o il caldo intensi, l’abuso di alcol o il fumo, ma anche serie limitazioni nei movimenti. Esistono inoltre fattori ambientali che ci espongono al rischio di stress, pensiamo ad esempio alla mancanza di un’abitazione, agli ambienti molto rumorosi, a livelli di inquinamento elevati. Ricordiamo, infine, le malattie organiche e gli eventi straordinari quali i cataclismi.

I sintomi dello stress

Ci capita spesso di dire che siamo ‘stressati’ ma non tutti i sintomi sono facili da individuare e possiamo sottovalutare il problema. Pur essendo difficile fornire un elenco esaustivo di tutti i sintomi dello stress, è utile individuare i più frequenti. Si individuano quattro categorie di sintomi da stress:
sintomi fisici: mal di testa, mal di schiena, indigestione, tensione nel collo e nelle spalle, dolore allo stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, extrasistole, agitazione, problemi di sonno, stanchezza, capogiri, perdita di appetito, problemi sessuali, fischi alle orecchie;
sintomi comportamentali: digrignare i denti, alimentazione compulsiva, più frequente assunzione di alcolici, atteggiamento critico verso gli altri, comportamenti prepotenti, difficoltà a portare a termine i compiti;
sintomi emozionali: tensione, rabbia, nervosismo, ansia, pianto frequente, infelicità, senso di impotenza, predisposizione ad agitarsi o sentirsi sconvolti;
sintomi cognitivi: difficoltà a pensare in maniera chiara, problemi nella presa di decisione, distrazione, preoccupazione costante, perdita del senso dell’umorismo, mancanza di creatività.

Stress: un po’ di storia

Un punto di partenza nella ricerca sullo stress in ambito medico può essere individuato nei lavori di Hans Selye, un medico austriaco che, dalla metà degli anni Trenta del secolo scorso, iniziò a lavorare su questo tema presso l’Università di Montreal. Come riporta lo stesso Selye (1976) fu un esperimento condotto su alcuni topi alla ricerca di un nuovo ormone a indicare un’interessante linea di indagine. Indipendentemente dalla sostanza tossica iniettata, i topi mostravano tutti la stessa reazione: ispessimento della corteccia surrenale, riduzione del timo e ulcere sanguinanti nello stomaco e nell’intestino.

Selye conosceva i lavori del fisiologo Walter Cannon, che dagli anni Venti aveva lavorato sul concetto di omeostasi e sulla risposta d’allarme presso l’Università di Harvard. Dinnanzi ad un pericolo l’organismo ha una reazione di allarme che ha la funzione di preparare il soggetto ad una rapida azione offensiva o difensiva, fondamentale per la sopravvivenza. Cannon (1929) studiò e descrisse quella che è nota con il nome di flight or fight reaction: uno stato di sovraeccitazione innescato dall’attivazione del sistema nervoso autonomo in seguito alla rilevazione di un pericolo nell’ambiente esterno. Questa reazione di allarme è comune a uomini e animali e ha un forte valore evolutivo, poiché permette al soggetto di attivare una serie di risorse che possono risultare vitali in situazioni di pericolo.

Selye aveva studiato questo testo, ma riteneva che la fase di allarme non fosse sufficiente per rendere conto di un processo in realtà più articolato. Studiando i suoi topi in laboratorio il medico descrisse un ciclo che è noto come ‘sindrome generale di adattamento’ (Selye, 1974). La prima risposta ad un evento esterno stressante (che chiamò stressor) costituisce quella che propriamente si indica come ‘reazione di allarme’. Se lo stressor non è sufficientemente potente da risultare incompatibile con la sopravvivenza dell’organismo, ma al tempo stesso è prolungato, si innesca una seconda fase che si definisce di ‘resistenza’ e che, a livello di attivazione dell’organismo, coincide con risposte diverse e per alcuni versi opposte rispetto alla reazione di allarme. Tuttavia questa fase non può essere protratta a lungo: se lo stressor continua ad essere presente in modo intenso, si innesca la fase di esaurimento – le risorse a disposizione dell’organismo sono limitate e ad un certo punto si esauriscono (Selye, 1976).

La sindrome generale di adattamento negli esseri umani è un fenomeno di gran lunga più complesso di quello osservabile negli animali. Se nel regno animale la reazione di allarme è innescata dalla presenza di un predatore o da qualche minaccia concreta per la vita o per lo status nel gruppo del singolo, gli uomini tendono a reagire in questo modo anche se nessun pericolo reale è presente. Tra gli esseri umani, lo stress rappresenta una questione importante, che non si esaurisce in una reazione naturale ad un pericolo concreto: soprattutto nelle società occidentali moderne, questo utile strumento può diventare un modo di vivere dannoso, portando con sé difficoltà non indifferenti.

Che cos’è lo stress?

Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi. Fu Selye il primo a parlare di stress, definendolo come una

risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso (Selye, 1976).

In base alla durata dell’evento stressante è possibile distinguere due categorie di stress: se lo stimolo si verifica una volta sola e ha una durata limitata si parla di ‘stress acuto’, se invece la fonte di stress permane nel tempo si utilizza l’espressione ‘stress cronico’. Lo stress cronico propriamente detto dura a lungo, investe diverse sfere di vita e costituisce un ostacolo al perseguimento degli obiettivi personali. Si definisce, infine, ‘stress cronico intermittente’ un quadro di attivazione da stress che si presenta ad intervalli regolari, con una durata limitata e un buon livello di prevedibilità. Accanto alla distinzione sulla base della durata è possibile individuare due categorie sulla base della natura degli eventi stressanti. In molti casi gli stressor sono nocivi e possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie – si parla quindi di distress. In altri casi, invece, gli stressor sono benefici, poiché favoriscono una maggior vitalità dell’organismo – si utilizza in questo caso l’espressione eustress.

DIETA MEDIATICA

Per aiutare le famiglie americane a mantenere una dieta mediatica salutare, l’AAP raccomanda a genitori ed educatori di collaborare per stendere un “piano media” (Family Media Use Plan Tool) che tenga in considerazione la salute, l’educazione e il divertimento di tutti i bambini e i componenti della famiglia.

Si parte infatti dal presupposto che i media, se utilizzati in modo appropriato e in linea con i propri valori e stile parentali, possano anche aiutarci nella vita quotidiana.

Al contrario, se utilizzati in modo inappropriato o inconsapevole, possono sostituire rovinosamente occasioni importanti di dialogo, confronto faccia a faccia, gioco all’aria aperta, riposo…

Per questo è stato pensato di mettere a disposizone delle famiglie americane un Media Use Plan , per capire se stanno utilizzando una buona strategia di utilizzo degli schermi con i propri bambini o se è meglio che introducano delle nuove e più salutari abitudini.

Dai pediatri americani le nuove linee guida per l’uso degli schermi

A fine 2016 sono state rese pubbliche le nuove linee guida dell’American Academy of Pediatrics su tempo e modi con cui i bambini possono stare davanti agli schermi di televisione, computer, tablet e smartphone.

Le prime linee guida in relazione al cosiddetto “screen time” erano state redatte nel 2011. Erano granitiche e fortemente restrittive: nessuno schermo prima dei 2 anni e un’esposizione di massimo 2 ore al giorno per i bambini più grandi. Di fronte ai rapidi cambiamenti tecnologici in atto e in seguito alla rapida diffusione degli schermi touch (anche nelle famiglie), nell’ottobre 2015 i pediatri americani sentirono la necessità di cambiare la loro posizione in favore di una maggiore articolazione e pubblicarono quindi sulla rivista ufficiale dell’associazione un articolo intitolato “Beyond ‘turn it off’: How to advise families on media use”. Con questo intervento rimettevano in discussione le limitazioni al tempo-schermo precedentemente stabilite, dispensando consigli dettati in larga parte dal buonsenso, oltre che dall’evidenza scientifica, e dando enfasi alla qualità dei contenuti proposti e alla condivisione dell’esperienza di visione/utilizzo. Alla base del processo di apprendimento e della maturazione di importati skill del bambino, come l’empatia, il pensiero creativo, il controllo delle emozioni, c’è sempre infatti l’interazione reale con l’altro.

In quell’occasione era stata promessa la pubblicazione di nuove linee guida ufficiali, che sostituissero le precedenti.

Le linee guida 2016 per il tempo schermo dei bambini

  • Bambini fino ai 18 mesi: evitare l’utilizzo degli schermi, anche per videochiamate. I genitori di bambini tra i 18 e i 24 mesi che volessero introdurre ai propri bambini gli schermi digitali dovrebbero scegliere programmi e app di alta qualitàcondividendo l’esperienza di utilizzo e visione con i propri piccoli per spiegare loro cosa stanno vedendo. In generale, non avere fretta di introdurre la tecnologia ai bambini: il suo utilizzo è ormai così intuitivo, che in pochissimo tempo, al momento giusto, impareranno ad usarla.
  • Bambini dai 2 ai 5 anni: limitare l’esposizione agli schermi a un’ora al giorno, scegliendo programmi e app di alta qualità (come quelli di Sesame Street), che possano per esempio migliorare le competenze linguistiche. Sfortunatamente, rileva l’AAP, molte delle app definite “educative” negli appstore non coinvolgono nella loro progettazione veri specialisti o figure accademiche e non sono pensate per un utilizzo condiviso, per esempio tra genitore e figlio, prediligendo piuttosto l’uso in autonomia. Spesso gli ebook (o app narrative) pensate per i più piccoli presentano interazioni che più che aumentare l’esperienza di lettura introducono elementi di distrazione, quindi anche in questo caso è bene valutare i titoli che si sottopongono ai bambini. Anche in questa fascia d’età è consigliabile affiancare i bambini mentre utilizzano i media, per aiutarli a capire cosa stanno vedendo.
  • Bambini oltre i 6 anni: dare limitazioni chiare al tempo speso davanti agli schermi, anche a seconda del tipo di medium utilizzato, assicurandosi che il tempo schermo non tolga spazio ed energie ad altre attività che il bambino deve svolgere nel corso della giornata (giocare, studiare, dormire…) e che non inneschi abitudini poco salutari. Ancora una volta viene ribadito: “Content is crucial”, soprattutto quando si parla di programmi televisivi.
    Stabilire insieme i momenti media-free, come quelli dei pasti o della guida in auto, così come zone media-free della casa (le camere da letto, per esempio).
    Tenere aperta la comunicazione con i propri figli sui temi della sicurezza, anche online, e dei comportamenti nella sfera digitale.
  • I genitori: non lasciare la televisione accesa senza che nessuno la guardi, crea inutili interferenze mentre i bambini giocano o mentre interagiscono con i genitori o fra di loro.
    Un utilizzo massiccio dei device digitali da parte dei genitori rischia di ridurre le interazioni in famiglia, sia verbali che affettive. E dal momento che l’esempio dei genitori è sempre fondamentale nell’educazione dei figli, è bene che anche il rapporto degli adulti con tali strumenti sia ponderato e consapevole.

Stress e Salute: l’importanza di un approccio integrato

Le evidenze scientifiche fanno riflettere sull’importanza di un approccio integrato nella prevenzione e  nel trattamento delle patologie stress correlate.
Le numerose evidenze scientifiche  fanno riflettere sull’importanza di adottare un approccio integrato nella prevenzione e nel trattamento delle patologie correlate allo stress, che miri al rilevamento degli indici non solo fisici, ma anche comportamentali e psicologici  potenzialmente responsabili dell’alterazione delle condizioni di salute.

Le evidenze scientifiche dimostrano l’impatto dello stress sull’alterazione delle condizioni di salute e l’importanza di un approccio integrato (Gaston et al., 1987; King et al., 1991; Chiu et al., 2003; Rosenkranz et al., 2003; Ross, 2005; Levy et al., 2006; Drossman, 2011).

Negli ultimi anni stiamo assistendo a un incremento delle cause di stress e appare chiaro quanto ognuno di noi possa essere esposto ai danni fisici e psicologici che da esso derivano.

Lo stress è sempre più diffuso, tanto da essere considerato la nuova patologia del secolo.

Per stress s’intende La risposta non specifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata ad esso e proveniente dall’ambiente”. Dalle parole di Hans Selye (1956), considerato il padre del concetto di stress, si intuisce che di per sé lo stress non ha una connotazione negativa.

Esiste una forma positiva, detta “eustress”, che allena la capacità di adattamento individuale e permette il raggiungimento di obiettivi specifici. I problemi insorgono quando l’organismo entra in una condizione di “distress”, nel momento in cui le richieste dell’ambiente superano le risorse a disposizione. Se questa situazione si protrae nel tempo, l’organismo può produrre forme di risposta patologiche e difficilmente reversibili.

Secondo l’ AISIC (Associazione Italiana contro lo Stress e l’Invecchiamento Cellulare) il 70% delle morti in Italia sarebbe causata da malattie cardiovascolari, cirrosi epatiche, tumori, broncopatie cronico-ostruttive, malattie intestinali, tutte patologie legate allo stress o a comportamenti disfunzionali dovuti alla condizione di stress.

Questi dati fanno riflettere su quanto siano onerosi i costi individuali che ciascun individuo deve sostenere in termini di visite specialistiche, farmaci, giorni lavorativi persi, e danno l’idea della complessità e della gravità del fenomeno.

Negli ultimi anni stiamo assistendo all’aumento di patologie la cui origine pare essere un disturbo del funzionamento dei sistemi interni di autoregolazione, che provoca alterazioni in tutto l’organismo. L’ipotesi è che lo stress prolungato rappresenti il motore di questo circuito a cascata. Studi longitudinali hanno indagato il ruolo dello stress sul decorso delle malattie cutanee, in particolare due studi condotti su piccolo gruppi suggeriscono una correlazione tra il livello dello stress percepito e l’andamento clinico della psoriasi (Gaston et al., 1987) e della dermatite atopica (King et al., 1991), mentre uno studio condotto su studenti universitari ha evidenziato una correlazione stress e l’andamento clinico dell’acne (Chiu et al., 2003).

Alcuni studi mettono in relazione i disturbi funzionali digestivi con esperienze stressanti precoci vissute durante l’infanzia, ad esempio la morte di un genitore, l’abuso sessuale o la presenza di una relazione disfunzionale con il caregiver: tra pazienti con tali disturbi coloro che riferiscono storie di abuso fisico e psicologico risultano maggiori rispetto ai pazienti con disturbi gastroenterologici organici senza la presenza di tali esperienze traumatiche (Drossman, 2011; Ross, 2005).

In particolare, sembra che nei pazienti con sindrome da intestino irritabile la percentuale di anamnesi positiva per abuso sessuale  raggiunga una percentuale che varia dal 30 al 56 % (Levy et al., 2006). Tuttavia, i dati non sono ancora stati confermati e necessitano di ulteriori approfondimenti.

Le malattie cardiovascolari sembrano legate a fattori psicosociali che possono influenzare il verificarsi di un’aterosclerosi o di un evento cardiaco. In particolare, le Linee Guida europee sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari (Fourth Joint of the European Society of Cardiology, 2007)  fanno riferimento al livello socio-economico basso, presenza di stress lavorativo e familiare, mancanza di supporto sociale, tendenza all’ostilità.

Infine, per quanto riguarda il sistema immunitario, uno studio condotto nell’Università del Wisconsin ha dimostrato che uno stato psicologico negativo è correlato a una peggiore risposta al vaccino antinfluenzale (Rosenkranz et al., 2003), evidenziando come l’iperattivazione delle cortecce prefrontali determini l’attivazione dell’asse dello stress, con sovrapproduzione di cortisolo e conseguente inibizione della risposta immunitaria.

Le numerose evidenze scientifiche  fanno riflettere sull’importanza di adottare un approccio integrato nella prevenzione e nel trattamento delle patologie correlate allo stress, che miri al rilevamento degli indici non solo fisici, ma anche comportamentali e psicologici  potenzialmente responsabili dell’alterazione delle condizioni di salute.

                                                                            (State of mind – R.Piron)