Credo che si possa pensare alla pandemia Coronavirus come trauma sociale, collettivo e questo ci permette di incominciare a ragionare su pratiche (riti, commemorazioni, ad es funerale “collettivo”, testimonianze, performance artistiche, ecc) che hanno lo scopo di costruire una memoria collettiva e condivisa del tempo del coronavirus attraverso la voce e il dare voce ai tanti gruppi sociali coinvolti (dal personale sanitario che ringraziamo per essersi prodigato per la salute di tutti, alle persone che hanno subito un lutto , ai familiari, coloro che hanno fatto quarantena , ai bambini che hanno subito in silenzio le regole, alle persone chiuse in situazioni di violenza domestica, alle persone diversamente abili psicofisiche , ecc). Senza silenziare i gruppi minoritari di cui in questo periodo abbiamo sentito parlare molto poco o nulla.
I riconoscimenti economici sono fondamentali e basilari alla sopravvivenza come pure quelli terapeutici ma penso che il covid19 ci dia il modo di attivare un PRE- PENSIERO cioè di incominciare a ragionare anche su modi di costruire una un elaborazione del trauma e dei tanti lutti che possa essere sentita propria da tutte le persone che, pur avendola vissuta ognuno in maniera unica , vi si possono riconoscere in un’esperienza . Questo ci può aiutare poi, a tempo concluso, a uscire dall ’ esperienza traumatica. Non diamo nulla per scontato, occorre mettere in campo misure, comportamenti , pensieri, progetti.