La primavera è tornata. Il sole tiepido e pallido ammanta di gloria e speranza le cime dei monti oltre la baia. La neve si ritira e i cieli si aprono sopra alle vite che continuano a passare. Ho appena richiuso per l’ennesima volta Paradiso e inferno di Jón Kalman. Bárður è morto di nuovo. Si è distratto memorizzando versi poetici e ha dimenticato la giacca cerata. È salito in mare aperto e il gelo lo ha ucciso. Mi commuovo sempre quando muore Bárður. La sua fine è la metafora crudele per tante delle vite che si intrecciano con la mia. Smarrirsi nella bellezza per poi morire per un dettaglio che abbiamo tralasciato nella foga dell’inseguimento di un qualcosa. Qualcosa di troppo alto perché il nostro sguardo non perda la percezione dello spazio. Ora ho riaperto un altro libro. Si parla di storia della letteratura islandese nel medioevo. Ho imparato una…
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